La morte corre sul fiume
Charles Laughton, 1955
Per scoprire come la «coerenza stilistica» non è una qualità necessaria per fare un capolavoro. Laughton passa senza problemi dal realismo alla favola (il viaggio lungo il fiume dei due fratellini) dopo averci regalato degli squarci geometrico-espressionisti di un astrattismo assoluto (le scene nella camera da letto della Winters), chiedendo ai suoi attori ora l’understatement (sempre Shelley Winters) ora l’overacting (Robert Mitchum), senza che questi salti disturbino in alcun modo il risultato finale, anzi tutti vi concorrono magnificamente. Meditate giovani, meditate!
Las Hurdes
Luis Buñuel, 1932
Per capire cosa vuol dire fare un cinema capace di intervenire sulla realtà e sulle coscienze dello spettatore e soprattutto come il reale può essere a volte più surreale di qualsiasi invenzione surrealista. Guardarlo magari dopo aver visto il film d’animazione Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe che racconta il prima, il durante e il dopo del film con qualche libertà inventiva che non dà fastidio.
Toro scatenato
Martin Scorsese, 1980
Per una volta lasciate da parte la straordinaria prova attoriale di de Niro e il montaggio superlativo di Thelma Schoonmaker ma fate attenzione a come Scorsese (e il suo sceneggiatore Paul Schrader) hanno scomposto la biografia di Jack La Motta in tante scene indipendenti le une dalle altre, senza preoccuparsi di spiegare troppo (per fare un solo esempio, da dove viene la «violenza» di Jack? Dall’infanzia? Dalla famiglia? Dalla povertà?) ma accostandole solo in funzione del ritmo narrativo.
Gli amanti crocifissi
Kenji Mizogouchu, 1954
Perché è un capolavoro assoluto che tutti dovrebbero sapere a memoria! E se non piangete alla fine, non siete degni di appartenere al genere umano!
Paolo Mereghetti